Il ragù

La domenica in casa si sentiva sempre il profumo del ragù. Era un rito, un rito che iniziava il sabato sera con la preparazione dei pomodori, rigorosamente sammarzano. Venivano dapprima sciacquati sotto lo scroscio dell’acqua fredda, uno ad uno, anche per effettuarne l’ultima selezione. Solo i migliori per il principe dei sughi. Quindi i promossi venivano messi in una pentola con acqua e posti sul fuoco per ammorbidirne la buccia e pelarli più in fretta; infatti venivano pelati (sbucciati) e riversati in un grosso passino dove venivano spremuti ed il sugo così prodotto, separato dai residui di buccia e semi, veniva raccolto in una casseruola dove rimaneva a “riposare” per tutta la notte.

Alle sei del mattino della domenica il rito riprendeva. La casseruola di sugo veniva posta sul fuoco e cominciava la sua lenta cottura a fiamma bassa e questo durava fino all’ora di pranzo che per noi napoletani, di domenica, vale a dire le due del pomeriggio. Questa operazione corrispondeva al famoso “pippiamiento”. Il sugo per diventare “ragù” doveva appunto “pippiare” cioè bollire, anzi sobollire, perdere tutta l’acqua, addensarsi, insaporirsi. Durante la cottura veniva aggiunta la giusta dose di sale, qualche fogliolina di basilico. Ad un certo punto della cottura venivano immersi pezzi o l’unico pezzo di carne di vitello o anche un po’ di “tracchiulelle” di maiale per farli cuocere insieme e insaporire lo stesso sugo. La carne aggiunta era stata precedentemente rosolata con olio e cipolle sottilmente affettate ed un buon bicchiere di vino rosso. L’attenzione maggiore era quella di non far bruciare nulla o fare attaccare sul fondo della casseruola la carne immersa. Per far si che tutto questo si avverasse il sugo veniva ispezionato continuamente e spesso mescolato usando esclusivamente una cucchiarella di legno. Quella casseruola posta per ore sul fuoco era un piccolo Vesuvio casalingo, un incallito fumatore di pipa: sbuffi continui di fumo bianco profumato si levavano dal coperchio che tremolava per la pressione ed un borbottio leggero e accattivante, prodotto dal continuo sobollire del liquido, era di compagnia a chi era in cucina. Ad ogni controllo per il sollevamento del coperchio si alzava una nuvola più grande di vapore, ed ogni volta il profumo era diverso sempre più intenso, sempre più buono.

All’una il profumo era già intenso. Era il momento di farsi un giro in cucina e mia madre, vedendomi, intingeva un pezzo di pane nella pentola del sugo e me la porgeva. Assaporare l’anteprima era un altro rito ed io ero orgoglioso di esserne parte attiva. Non era ancora denso il sugo, ma il suo sapore era già buono. Alla richiesta del bis ero sempre letteralmente cacciato dalla cucina.

Alle due del pomeriggio il sugo di pomodori era diventato “Ragù” o se credete crema di pomodoro, denso, profumato, dal colore rosso purpureo, fumante. Signori a tavola, il pranzo era servito!

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